In ambito di reati fallimentari, i consulenti (commercialisti o avvocati) concorrono nel reato di bancarotta quando, consapevoli dei propositi distrattivi dell’imprenditore ovvero degli amministratori della società, forniscono consigli sull’utilizzo di mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori ovvero forniscono assistenza nella conclusione di negozi finalizzati a sostenere l’altrui proposito criminoso. Dipiù, nell’ipotesi in cui il professionista si veda affidare il solo compito di redigere la dichiarazione dei redditi sulla base dei documenti annotati in contabilità direttamente dal contribuente e si renda conto, al momento di predisposizione della stessa, che una fattura passiva si riferisce ad operazioni inesistenti, non v’è alcun dubbio che nell’ipotesi in cui sussistono ipotesi delittuose in capo al contribuente, il professionista risponda in concorso. E’ questo il principio ribadito dalla Cassazione (sezione penale, sentenza n. 19335/2015) che si inserisce nel solco già tracciato dagli stessi ermellini in precedenti sentenze (sentenza n. 39988/2012 – n. 10742/2008 – n. 13115/2000) e che deve essere attentamente tenuto in considerazione dagli operatori professionali.
In particolare, l’attuale situazione di crisi economica generalizzata ha coinvolto sempre più spesso i professionisti ad assistere l’impresa fornendo pareri e consigli tecnici al fine di superare le difficoltà. In queste situazioni il professionista che fornisca consigli da cui emergano profili in cui è configurabile l’agevolazione dell’operato distrattivo sarà ritenuto corrèo.
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